Una classicissima d’Inverno

7 01 2009

Il canale Chiaretti – Pietrostefani.

Chi si avvicina all’alpinismo invernale nel gruppo del Terminillo è di certo passato per il profondo canale che segna il limite tra le pareti Est e Nord e che porta il nome dei primi salitori, i leonessani Stanislao Pietrostefani e Roberto Chiaretti. I due , nell’estate del 1932  salirono quella che è stata considerata per molto tempo la prima via alpinistica del Monte Terminillo!

In verità, è lecito supporre che quei pendii fossero già stati percorsi bentempo prima da cacciatori di camosci, che fino alla fine del 1800 si suppone fossero ancora presenti tra le creste d’alta quota del Terminillo.

La Chiaretti (come la chiamano gli alpinisti reatini) o Il Pietrostefani (come lo chiamano i romani) è una classica dell’alpinismo invernale in Appennino Centrale; è una via alpinistica la cui difficoltà dipende moltissimo dalle condizioni di innevamento, infatti, pur avendo la fama di via facile facile e di canalone gonfio di neve, le difficoltà aumentano incredibilmente con le particolari condizioni di innevamento che la zona presenta specialmente ad inizio stagione. Certo, le diffocoltà sono sempre modeste ma , come sempre, è bene mai sottovalutare.

Da pochi anni il canale è stato spittato sul lato destro , ma, soprattutto se la neve è molta, è difficile trovare gli ancoraggi. Personalmente, rimango molto perplesso da questa pratica, invalsa al Terminillo, di spittare anche le vie classiche e più facili…di certo con la buona intenzione della sicurezza…ma forse a parer mio, esagerando decisamente. In questo caso poi, mi è sembrata una forzatura immane, non giustificata e inutile. Ma ripeto, è solo parere personale.

Venendo alla via: Il canale è inconfondibile, è l’ultima spaccatura della parete Est e delimita lo spigolo nord nord-est e la parete Nord.

L’avvicinamento è dei più facili, nessun rischio oggettivo, solo un minimo di attenzione all’imbocco del canale dove possono formarsi dei costoni di neve accumulata dal vento che risale dalla Valle della Meta alla Sella delle Scangive.

Di qui si risale il canale che se innevato non presenta problemi, mentre può presentare qualche difficoltà nel caso in cui la neve non sia molta e il grande sasso incastrato poco al di sopra dell’attacco debba essere superato con un pò di arrampicata su roccia (ramponi ai piedi e piccozza alla mano!). Il tratto finale del canale di biforca per pochi metri: se si sale a sinistra la salita è facile, se si sale a destra la salita è poco più complessa (perchè si addentra in un canalino stretto) ma decisamente più bella!

Di qui si esce dal canale e si segue per crestine e roccette fino a risalire la cresta sommitale. Questo a ben vedere è il tratto più delicato della via, tratto che spesso si presenta con poca neve, dato che viene sempre spazzata dal vento. Se poi la giornata è ventosa in quota (e dentro il canale il vento è assente) diventa addirittura pericoloso risalire quella cresta fino alla vetta del Terminillo, i venti possono essere molto forti ..e su alcuni delicati passaggi, possono complicare la situazione. Una via d’uscita, seppur poco praticata è il lungo scivolo nevoso subito a sinistra del canale Chiaretti – Pietrostefani, ma attenzione, perchè la pendenza è tale da provocare delle slavine!

In conclusione, è una via classica e facile, ma come sempre è  bene fare molta attenzione.

Una curiosità: il canale Chiaretti Pietrostefani è molto ambito  dagli sciatori estremi che vengono numerosissimi anche dall’estero!

Al momento non ho belle foto, in settimana conto di percorrerlo…e ne posterò alcune.




Storie di Lupi e di Lupari

11 12 2008

Agli inizi degli anni ’70 il lupo italiano era ridotto alla soglia dell’estinzione e proprio in quegli anni venne approntato un progetto di conservazione che ha col tempo mostrato aver avuto successo. In quegli anni, nel 1972 per la precisione, Luigi Boitani ed Erik Zimmen vennero incaricati di svolgere il primo censimento del lupo italiano, il primo censimento basato su criteri e riscontri oggettivi. Il quadro che i due studiosi stilarono era, come si sa, un quadro desolante: rimanevano in tutta Italia circa 100 lupi (ad onor del vero va detto che altri studiosi sostengono che verosimilmente i lupi rimanenti erano un pò di più!) e questi erano dislocati in luoghi per lo più inospitali ed inaccessibili  in un’ area molto vasta che veniva suddivisa in4 grandi zone dalle Marche alla Silla.

Probabilmente uno dei luoghi  dove il lupo sopravvisse, seppur con individui erranti , seppur sempre braccato dall’uomo e seppur in pochissimi esemplari (2 o 3 al massimo) fu proprio l’areale dei moni reatini.

Le tradizioni locali, ovviamente la toponomastica di molti luoghi e anche l’economia dei paesi del circondario del Terminillo hanno visto il lupo come attore fondamentale.

C’è una storia, una delle tante, che ancora oggi i vecchi del paese tramandano. Una storia che si perde nella notte dei tempi, non saprei ben collocarla storicamente, forse parliamo della metà del 1800, forse ancor prima, ma è una storia che vale la pena raccontare.

Erano gli anni in cui i commerci tra Rieti e l’ Umbria passavano ancora per le antiche strade dei passi di montagna, per le strade che oggi sono sentieri e che valicano i Monti Reatini passando da Rivodutri, per il Passo La Fara, per la Fonte delle Porcareccia , per le Fosse del Monte Tilia e così per arrivare a Leonessa.

Due viandanti, forse venditori di stoffe, altri dicono venditori di sale, si dice fossero padre e figlio, in un tardo pomeriggio invernale si erano attardati nelle osterie di Rivodutri cercando di venedere qualcos’altro perchè all’epoca la vita era dura veramente, tanto dura che la fatica passava quasi in secondo piano rispetto alla necessità primaria di guadagnarsi il pane per sè e per i figli. Si dice che il tempo non prometteva bene ma i due dovevano tornare a Leonessa e nonostante in molti li sconsigliavano e quasi li supplicavano di aspettare il mattino seguente i due decisero di partire. Era quasi l’mbrunire, per di più si avvicinava il mal tempo e quei boschi che i due avrebbero dovuto attraversare erano infestati da torme di lupi!

Lasciarono il paese e si diressero verso Nord, ma di lì a poco il tempo cambiò e una bufera di neve li colse poco dopo le antiche mole fuori del paese lungo il fosso del Trifoglio. Decisero di fermarsi lì, non potendo tornare indietro, nella zona che gli antichi avevano chiamato Le Cerque Sante e Ara Lupara. Accesero un fuoco e poi…nulla si seppe più di loro.

Uno o due giorni dopo dei taglialegna passarono per di là e trovarono solo le scarpe  e pochi resti dei due sventurati. Da quel giorno ogni viandante che risaliva verso Leonessa posò un sasso su quel luogo per ricordare i due imprudenti e sventurati commercianti di sale o di stoffe. E da quel giorno questo luogo è noto come “I Morti”. Ancora mia nonna raccontava che era sua abitudine quando bambina  passava per di là, diretta ai prati d’altura presso il Faggio di San Francesco che all’epoca erano rigogliosi campi di grano, posare un sasso.

Sono quelle storie antiche, che i nonni raccontavano ai nipoti davanti al fuoco nelle fredde giornate invernali, ma è una testimonianza , arrivata dalla tradizione orale, delle antiche vie di comunicazione di una volta, del sacrificio e della sofferenza che la gente pativa.

E quasi come storie fiabesche di un’epoca tramontata da secoli risuonano le avventure di Eufranio Chiaretti: “l’ultimo dei lupari”.

Quella del luparo era una vera e propia professione antica, risalente addirittura ai tempi di Carlo Magno , ai tempi in cui la tradizone romana del favor lupis (basti pensare, per esempio,  che il medaglione con la raffigurazione del lupo era il simbolo della Pax Romana)  cedette il passo alle esigenze della rinascita economica del X secolo e il lupo, da animale sacro e divino divenne un nocivo.

Eufranio Chiaretti fu l’ultimo di una generazione di lupari che di padre in figlio si tramandò i segreti del mestiere e del territorio. Le sue storie narravano di lotte epiche, impari e crudeli , di storie di sofferenza e fatica, di odio e amore per quest’animale che seppur “nocivo” dava da vivere anche da morto. Si certo, non posso negare che provo molta rabbia a rileggere oggi di queste povere bestie che si mordevano gli arti immobilizzati nelle tagliole per cercare di liberarsi, di come venivano catturati, uccisi e torturati , dei cuccioli che venivano portati via vivi dalle tane e si lasciavano morire di fame,  ma bisogna tener presente il contesto economico e sociale di quella realtà. Non che voglia giustificare tanto odio e tanta brutalità ma la vita di molti dipendeva dalla morte del lupo, in una sorta di circolo vizioso per cui il lupo doveva il più possibile essere sterminato ma non doveva scomparire, perchè scomparendo avrebbe sancito la fine stessa del luparo che dalla sua morte (ma in fondo dalla sua vita) traeva sussistenza per sè e per la famiglia. Ed Eufranio Chiaretti fu il protagonista di questo paradosso: eroe dei bambini che lo vedevano passare col lupo morto sulla bicicletta ed antieroe di sè stesso, perchè alla fine fu l’ultimo dei lupari, vittima quasi tragica di quella professione: per mano sua il lupo nei monti reatini fu ridotto ad uno o due esemplari vaganti e non stanziali, forse addirittura sparì del tutto per molti anni da queste montagne ed Eufranio, per sua stessa mano e per mano del lupo morto rimase senza mestiere , fino all’ulteriore paradosso della sua vita per cui l’esperienza e la conoscenza della montagna che la caccia al lupo gli aveva dato lo portò, se voleva mangiare,  a lavorare come guardaboschi !!

Eufranio Chiaretti ed il lupo morto (1965 .ca)

Eufranio Chiaretti ed il lupo morto (1965 .ca)

Oggi il lupo è tornato ad abitare i monti reatini ed il Terminillo in modo stabile; sono dell’estate passata le notizie di attacchi alle greggi al pascolo nelle radure nei dintorni di Pian de’ Valli e non è difficile trovare i segni della sua presenza. Purtroppo, oggi come in passato la convivenza col lupo non è cosa scontata e anzi sembrano riaffacciarsi orizzonti foschi perchè i conflitti con la zootecnia portano spesso all’esasperazione e la risposta delle istituzioni non è sempre efficace come invece dovrebbe. D’altra parte però voglio sottolineare che un barlume di speranza viene anche dai “nuovi” metodi di esercizio della pastorizia che con l’ausilio della tecnica (penso alle recinzioni elettriche – che tra l’altro hanno anche un costo relativamente basso a fronte di una efficacia garantita-) o con l’ottimizzazione di antichi “stratagemmi anti-lupo” a cura e guardia delle greggi (l’impiego di razze canine opportunamente selezionate e addestrate come il pastore abruzzese) stanno , seppur lentamente, prendendo piede anche da noi. Forse è proprio in questa direzione che le istituzioni dovrebbero muoversi di più; anche qui servirebbe più contatto con i diretti interessati e sarebbe opportuno  favorire ed incentivare l’utilizzo di sistemi di prevenzione ancorchè semplicemente limitarsi a garantire l’assistenzialismo (peraltro spesso evanescente) in caso di danno da predazione.

Fatto sta che volenti o nolenti il lupo è tornato, ed è tornato come  patrimonio di queste terre di montagna e la sua storia ha già dimostrato che da qui non può andarsene perchè sono i suoi monti, prima ancora che i nostri. E lui fa parte di noi quale retaggio culturale inscindibile dalla nostra vita ,  inscindibile  dalle nostre radici, tanto quanto è inscindibile la nostra tradizione religiosa o la nostra storia. Il lupo è prima di tutto una presenza necessaria del nostro territorio , è un patrimonio (anche in termini monetari!!) , è una ricca eredità di cui spesso inconsapevolmente ancora viviamo.

Una traccia lasciata da due lupi rinvenuta da poco nei Monti Reatini (autunno 2008)

Una traccia lasciata da due lupi rinvenuta da poco nei Monti Reatini (autunno 2008)

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Il Referendum di Leonessa

1 12 2008

Alla fine anche questo capitolo si è chiuso.

Ci sono voluti mesi di campagna elettorale (o referendaria, come si preferisce), confronti spesso duri, fiumi di inchiostro e di pagine web, ci sono voluti 2 giorni di elezione, 1207 leonessani andati alle urne, 926 voti per il SI , 238 per il NO, 43 schede nulle…e finalmente il capitolo si è chiuso. E si chiuso inaspettatamente con la secca bocciatura della richiestadi secessione dal Lazio. Tutto qui: la bocciatura della richiesta di distacco dal Lazio e annessione all’Umbria. Nulla di più. Nulla di più se a monte non ci fosse stata , secondo me, tanta demagogia, tanta speranza (risultata vana) di far passare lo sci (o l’ approvazione del progetto ISIC) come la sola chiave di volta per sostenere un florido sviluppo economico; nulla di più se non si fosse cercato in tutti i modi di far passare Leonessa e i leonessani come dimenticati da tutte le altre Amministrazioni che non fossero state il Comune; nulla di più se non si fosse trascurato che poi, in fin dei conti, è la gente che decide e non  la tracotanza politica. Forse, il risultato di questo referendum appariva fin troppo scontato, io stesso non avrei mai creduto all’esito che poi è stato, ma questo è il potere del più alto istituto di democrazia. DEMOCRAZIA DIRETTA, appunto.

Forse i leonessani sono stati anche infastiditi da questo essere chiamati in causa come “vittime”, vittime della Regione , della Provincia, vittime dell’ambientalismo, vittime di chi chiedeva qualcos’altro oltre allo sviluppo sciistico (quando poi mi pare proprio chealla gente  non è importato un gran che della secessione dovuta alla mancata approvazione dei nuovi impianti). Una bella lezione, veramente una bella lezione di politica e di democrazia, una bella lezione a chi diceva di Leonessa come un comune già fuggito dal Lazio, una bella lezione a chi dava tutto per scontato quando poi di scontato non c’è stato nulla.

E una bella lezione di dignità  l’ha data anche il rappresentante del comitato per il SI, che seppur artefice di tutto questo, non si è celato dietro facili e fragili ripari ma ha affrontato TUTTO di persona (e mi pare anche abbastanza solo), la campagna elettorale, il referendum ed il suo esito. Chi prende atto delle proprie sconfitte è il primo dei vincitori.

Peccato solo che , come al solito, c’è chi vuole far passare la sconfitta come una vittoria, con considerazioni del tipo: “sconfitto il partito dell’astensione”, oppure ” la gente ha comunque risposto”, oppure ancora ” dovrà rendersi conto ai quasi 1000 leonessani che avrebbero voluto l’Umbria”. E ancora più peccato che quando si blaterano certe cose si scorda che l’astensione è un diritto che tra l’altro nel referendum “equivale” ad un voto (NO), si scorda che LA MAGGIORANZA HA VOTATO NO O NON è ANDATA A VOTARE, si scorda che LA GENTE HA RISPOSTO NO, si scorda che LA MAGGIORANZA DEI LEONESSANI NON VOLEVA ANDARE IN UMBRIA. Quindi…capisco anche che le sconfitte bruciano, ma  almeno che vengano affrontate con dignità, senza cercare improbabili vie d’uscita ..perchè LEONESSA è STATA CHIARA, IN UMBRIA NON CI VOLEVA ANDARE. E QUESTO è STATO IL VOLERE DELLA GENTE, NON FRAINTENDIBILE, ESTREMAMENTE CHIARO . PRENDETENE ATTO…perchè così è se vi pare.

Leonessa ruggisce ancora, leggo sul web, beh…altro che se ruggisce…ed è un ruggito veramente forte!





HERMANADOS….

28 11 2008

Strano a dirsi, ma a 2000 km dalle nostre montagne c’è chi vive situazioni simili a quelle che vivono i monti reatini.

Duemila Kilometri dicevo, forse un pò di più, ad ovest, in Spagna, non lontano dal Portogallo vi sono delle montagne che non sono tra le più note, ma che non sono certo seconde a nessuno quanto a bellezza dei luoghi, ricchezza di biodiversità e soprattutto opportunità di sviluppo turistico in armonia con la montagna. Parlo della Sierra de Candelario (nota anche come Sierra de Bejàr), una vasta porzione del Sistema Central che assieme alla Sierra de Francia (altro massiccio montuoso della Castilla y Lèon) è stata dichiarata Reserva de la Biosfera. El Calvitero (2410 m) è la vetta più alta e attorno  a questa cima si ergono una serie di picchi secondari che se da un lato aprono scenari d’incanto su nevi eterne, in inverno cascate di ghiaccio (los canalizos) ,piccoli laghi montani (las lagunas) e pareti di granito di 300 metri dove si può apprezare la bravura degli alpinisti di Bejàr e Candelario, dall’altro però la montagna è stata schiavizzata agli interessi di alcuni potentati economici privati che inesorabilmente l’hanno brutalizzata con impianti sciistici (La Covatilla) e che CRIMINALMENTE vorrebbero incrementare i profitti boicottando la creazione di un Parco Naturale e ampliando  gli impianti di risalita e tutto il bacino sciistico.

Le nevi perenni della Sierra de Candelario (Ago 2008)

Le nevi perenni della Sierra de Candelario (Ago 2008)

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Hacia El Calvitero

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Panorama  hacia las Lagunas

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Le brutture de La Covatilla

Le brutture de La Covatilla

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Candelario, e tutta l’area circostante, è un luogo dove si respira appieno un clima di turismo in armonia con la natura, con le tradizioni locali, con le eredità storiche . Insomma, a differenza che da noi, lì si è saputo valorizzare molto quello che si ha, le bellezze architettoniche del pueblo, le meraviglie naturali, gli scenari incantevoli della tradizione locale (penso per esempio alla magia della tradizione de los trajes tìpicos). Tuttavia, c’è anche lì qualcuno che non sa vedere quanto di incantevole offre El pueblo màs bonito de España, oppure sa vederlo solo in parte , oppure ancora lo trascura e lo mette in secondo piano anteponendogli esigenze pratiche (per carità magari pure giustificate) che a volte finiscono per rovinare la bellezza di un angolo di paese (per esempio penso agli orrendi bolos che l’amministrazione comunale ha fatto disporre lungo il paese per evitare il parcheggio delle automobili, ma che in fin dei conti non servono a nulla e che hanno “abbrutito” numerosi angoli del paese!). E, similmente a quanto accade da noi, anche lì c’è una feroce guerra tra ambientalisti  e non, tra fautori del Parque e chi invece il Parco lo odia e lo vede come rovina. Anzi, forse lì , in omaggio alla spontaneità spagnola, gli animi sono più sinceri e non si nascondono , e così i balconi delle case e le finestre manifestano il proprio astio per il progetto del Parco e d’altra parte t-shirt e manifestazioni rilanciano per il parco naturale.

PARQUE NO , contestazione al Parque Natural da un balcone

PARQUE NO , contestazione al Parque Natural da un balcone

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Ahimè, fin’ora da noi nessuno è andato a manifestare per il Parco del Terminillo, nessuno ha sponsorizzato a dovere un’iniziativa del genere, nessuno ha organizzato incontri pubblici per creare una vera e propria piattaforma per spingere verso il Parco (gli amici della Plataforma de Candelario, mi permettano l’italianizzazione!!!). Nessuno, ed è questo che fa veramente male , che demoralizza, che oltraggia le montagne e tormenta l’animo, nessuno ha alzato una voce per solo accennare al fatto che la risposta dei nostri amministratori ai progetti mostruosi dell’ISIC e di Leonessa è stata data con progettazioni ancora più devastanti e brutalizzanti , e che , per di più, hanno cercato di far passare come eco-sostenibili, ed io idiota che c’ho creduto!

Personalmente non finirò mai di ammirare con tutto il cuore la gente della Sierra de Candelario che ha lo spirito e la forza di combattere contro i poteri economici, che ha la forza di proporre un reale turismo alternativo allo sci e che valorizza i propri luoghi in armonia e rispetto con la natura, la propria storia, le proprie tradizioni.

NATURALMENTE CANDELARIO

NATURALMENTE CANDELARIO - PARQUE SI

NATURALMENTE CANDELARIO - PARQUE SI

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Dedicato a Muso e ai suoi padroni: tra le persone più importanti che ho incontrado in vita mia , le persone che più stimo e  con cui per sempre sarò legato.

MUSO

MUSO

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Ancora sulla Vallonina…desolazione.

24 11 2008

Le date del referendum per il passaggio in Umbria del Comune di Leonessa sono ormai prossime e molteplici novità sono intervenute  per quanto riguarda la faccenda dello sviluppo “turistico” (virgolettato perchè in realtà si parla solo di sviluppo sciistico!) delle montagne del leonessano.

I nostri onerevoli in Consiglio Regionale assieme ai nostri rappresentanti alle istituzioni pirvinciali e comunali si sono prodigati in questi ultimi tempi, nell’esame del progetto ISIC e del nuovo progetto proposto dalla Provincia di Rieti.

Il progetto che la Provincia e la Regione Lazio hanno approvato prevede un disboscamento più o meno doppio a quello che si prevedeva nel progetto della ISIC. Circa 60 ettari di bosco da tagliare contro i 35-40 previsti dal progetto della ISIC. Detto ciò, vanno fatte comunque alcune considerazioni:

1) forse il progetto della provincia, seppur prevendendo maggior disboscamento , non prevederà la costruzione di “rifugi” , hotels , ristoranti, e quant’altro di simile in quota. E ciò a differenza del progetto ISIC che invece prevede strutture del genere, che porterebbero ad un impatto considerevole (si pensi agli scarichi fognari, ai rifiuti, etc.)

2) a differenza del progetto ISIC, quello della Provincia coinvolgerebbe non solo Leonessa, ma anche il paese di Cantalice e la fatiscente stazione di Terminillo – Pian de’ Valli, garantendo un comprensorio sciistico che potrebbe ravvivare le sorti della stazione sciistica di Pian de’ Valli. Mentre, d’altra parte, il progetto ISIC farebbe comodo solo a Leonessa, lasciando morire Pian de’Valli, anzi affossandolo definitivamente.

In ogni caso, in questa storia c’è un che di veramente desolante:

In questa città, sulle nostre montagne, non si riesce a pensare al turismo alternativo e gli unici modelli di sviluppo che si propongono e finanziano sono modelli di distruzione ambientale, modelli che , sostenibili o meno, passano per il taglio di migliaia di alberi, passano per la distruzione di interi habitat naturali, EPPURE QUESTE MONTAGNE CONSERVANO RISORSE INFINITE, STORIE MAGICHE, AMBIENTI PARADISIACI, che a quanto pare, NESSUNO VUOL PRESERVARE.

Ho ritenuto opportuno modificare alcune parti di questo articolo perchè scritte su presupposti rivelatisi infondati e soprattutto non veritieri. Il resto è bene che rimanga perchè accanto allo sci è bene che si pensi anche a turismo “alternativo”.